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Appunti Cortesi: una surreale narrazione

Esperimento di ricerca del senso, nel dialogo con me stessa. Giochiamo con le parole.
Ho riscritto gli Appunti Cortesi in una surreale sequenza narrativa. Tra distanze e profondità le parole, a voce alta, sembrano fiato di un’unica narrazione in divenire. Come mutassero suono e significato nell’insolubile trasformazione di una progressione. Una rinascita. Dall’ignoto all’arcobaleno è un attimo. Un viaggio o un’affabulazione nella vertigine.

Volete fare un gioco?

Prendete i messaggi di una chat di lavoro su WhatsApp e leggete in sequenza solo i vostri. C’è il senso logico del vostro ragionamento? Vi arriva? Il vostro pensiero è in progressione o è discontinuo? Il discorso fila? Nel corso della conversazione, siete realmente riusciti a dire quello che volevate dire, o qualcosa è imploso? Siate critici ma soprattutto divertitevi e non prendetevi sul serio. Scrivetemi qui le vostre impressioni.

affabulazione

/af·fa·bu·la·zió·ne/

Origine

Dal lat. affabulatio -onis ‘la morale della favola’ •1963.

Vocabolario Treccani

Camminiamo senza sosta quasi avesse senso la promessa di un ignoto. Siamo cavie lacerate, abbiamo la centratura nel ferro, e mille e mille tiri nella testa.

Come Orfeo infermi, impazziti di dolore, ci arrovelliamo sugli imbrogli dei potenti, sedotti dalle illusioni. Col collo torto, ci avvitiamo su carcasse del passato, incapaci di comprendere se sia più onesto scapitare in amore per rinvigorire l’alito amaro della poesia o sprecare un’occasione, per avanzi di cautela. La colpa tua Orfeo non fu la curiosità. La paura dell’irrealtà fu la condanna, per infrangere la dolcissima tragedia dell’esistenza ti spingesti oltre la crudele scontentezza. Quella mano poteva trattenerti o mutarsi in artiglio per strapparti la vena d’oro dalla laringe.

Devo chiudermi nel mio carapace, mimetizzarmi per difesa: io – pelle e anima ancora madida di te – verso goccioli di miele e sensi blu, sulla tua indifferenza. E raccolgo i pensieri, come fossero legna, memoria da bruciare e in quel mantello di lingue e respiri di fuoco, nutrirò la terra, a strisce di cenere. In un soffio darò la vita – consummatum est – e aspetterò una goccia, un avvertimento di pioggia che mi sorprenda.

Apro gli occhi, non è cambiato nulla, le urla hanno silenziato i sogni, appiattito, fino alla colpa, la regola dei buoni. Siamo tutti sbagliati! Ciò che è andato è stato, ciò che sarà non è, il nulla o il tutto, ora si fa assoluto. Nell’estenuante giro di un losco avvitamento, l’unico equilibrio è l’inganno. Il silenzio non è elisione ma urgenza di cruore[1] per favorire l’emorragia di dubbi e di perché, in divenire pudico coagulo di coscienza. Pertanto devo staccarmi dal passo e alzare lo sguardo oltre la rima dello scibile. La graticcia, tra saliscendi di tiri di stelle, come una volta celeste suggeriva i perché.

Ti graviterò intorno – inconfessata io – sarò silenzio non assenza ma quella quiete – inconfessato tu – che ancora oggi brami. La donna è nuda vestita d’anima, sacro sensorio per chi la completa. Noi due: belli per vicinanza reciproca.

Soffici nubi su rami di pino stelle brillanti sotto il cuscino. Labbra sincere infuriano il senso quando il dolore si fa molto denso,
Prendi la curva dell’arcobaleno e puntala forte dentro il mio seno.


[1] Sangue che cola da una ferita

donna a letto
Profumo-di-Pesca

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