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Mare: il bisillabo risuona del suo stesso fluttuare.

Ampio e disteso nell’apertura della “a”, s’arriccia come un’onda nelle vibrazioni della erre, come dentro l’imprevedibilità delle sue correnti del suo infinito coesistere tra pace e tormento, riposo e paura.

Mare ha un anagramma funzionale: rema che è un suggerimento per non finire ondivaghi, sulle correnti, trasportati dalle emozioni, è l’imperativo per opporre resistenza alle avversità della vita, alle situazioni travolgenti. È il consiglio a restare vigili, sia nella quiete sia nella paura, sulla rotta della consapevolezza.

Il mare declina al rame, nel tramonto delle sue innumerabili sfumature si dilata rosso e fino all’ultimo pigmento del nero, indistinto tra terra e cielo.

Per una mera incapacità di reagire affondo come un’erma pesante, senza più arti o parti.

Mi inabisso nella verticalità del silenzio.

La luna è un’arme disposta in cielo, principio di luce, un’idea di chiarore nella mia distanza.

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